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MISURE E METODI DI RECUPERO PER UN ATLETA

Come per lo sviluppo di un piano di allenamento, anche per sviluppare un PIANO DI RECUPERO dobbiamo tenere in conto alcune variabili, tra cui: l’allenamento svolto e quindi i sistemi fisiologici allenati; la condizione climatica in cui avviene l’allenamento o la gara; le condizioni fisiche e psichiche generali dell’ atleta; lo stato muscolare ed articolare del soggetto; le informazioni riferite dall’atleta, cioè le sue sensazioni; il tempo a disposizione tra una seduta di allenamento o una gara e l’altra; la pianificazione dell’allenamento e del calendario gare.

Quali sono le metodiche che possiamo applicare per favorire il recupero?

Le misure di recupero sotto riportate devono essere programmate e applicate sempre prima dei pasti o a digestione ultimata, per il principio secondo cui il recupero crea un’iperemia locale e questo toglierebbe sangue dal tratto gastrico impegnato nella digestione, rallentando o addirittura bloccando la digestione stessa (Figura 1).

Figura 1: Programmazione e applicazione delle misure di recupero.
  • Recupero Attivo

“ Con il termine recupero attivo s’ intende la rapida eliminazione di scorie (per esempio, l’acido lattico) con l’aiuto di esercizi aerobici”( Tudor O. Bompa, Periodizzazione dell’allenamento sportivo). 

Il recupero attivo permette quindi di abbreviare il tempo di recupero. 

Con una corsa leggera continua si eliminerebbe il 62% di acido lattico in 10’, la percentuale sale all’ 88% in 20’ (Bonen et Belcastro, 1976; Fox et al.,1989). Questo perché il lavoro aerobico leggero accelera il rifornimento di ossigeno e di nutrienti al muscolo, migliorando lo smaltimento ed il riutilizzo dei prodotti finali del metabolismo. 

Oggi si vedono molto spesso i campioni di sport come il ciclismo dare tantissima importanza a questa pratica. Appena conclusa la gara, continuano a pedalare su dei rulli ad intensità molto blanda per smaltire in modo più veloce l’acido lattico accumulato, che viene riconvertito in glucosio e riutilizzato a scopo energetico dallo stesso muscolo ed in particolare dalle fibre lente. 

Oltre a praticare questa forma di recupero, questi atleti cominciano già durante la pratica del recupero attivo ad assumere bevande, con aggiunta di zuccheri semplici, questo consente di velocizzare il ripristino delle scorte di glicogeno muscolare sfruttando l’iperemia locale che interessa i distretti muscolari coinvolti dal gesto atletico. 

Anche la ginnastica potrebbe essere utilizzata per un recupero attivo con esercizi che mirino ad eliminare squilibri e stereotipi motori specifici, e migliorare la contrattilità della muscolatura, accorciata dalla prolungata attività. 

  • Massaggio defaticante 

Il massaggio si applica successivamente al lavoro di defaticamento, dopo un periodo di relax di circa due ore e viene concentrato soprattutto sulle zone più affaticate, con una durata che va dai 30 ai 60 minuti.
Il massaggio ha come obiettivi primari rimuovere le scorie metaboliche, ristabilire il tono muscolare e svolgere un’azione sedativa sul sistema nervoso vegetativo. Questi effetti sono ottenuti attraverso un’azione meccanica ed una stimolazione sensoriale. 

Grazie alla pressione meccanica sui muscoli rilassati ed all’azione di strofinamento sulla cute, che provoca riscaldamento e vasodilatazione, il sangue viene spinto in direzione della forza applicata aumentando il flusso sanguigno nella zona trattata fino al 35%, rispetto al 4% dello stato di riposo, permettendo un maggiore scambio di sostanze nutritive tra sangue e cellule (Bergeron, 1982). 

Anche la circolazione linfatica viene favorita poiché i vasi linfatici sono privi di valvole unidirezionali, dette a coda di rondine, e questo consente attraverso la pressione esercitata dalle mani sui vasi di favorire il ritorno dei liquidi extra-vascolari.

Quindi, grazie all’ azione di spremitura, il massaggio favorisce il drenaggio dei liquidi extra-vascolari nei vasi linfatici e successivamente nel sistema circolatorio, aumentando fino a 2,5 volte la rimozione delle scorie metaboliche rispetto allo stato di riposo. 

Atleti di Elite, seguiti da staff personale, svolgono quotidianamente questa misura di recupero.

  • Immersione in acqua fredda 

L’immersione in acqua fredda (CTW) mostra un interesse particolare in campo terapeutico soprattutto per il suo effetto analgesico, pertanto assume un ruolo di discreta importanza nell’ambito del trattamento delle lesioni muscolari acute. 

Tale metodica consiste nell’utilizzo di ghiaccio, bagni ghiacciati ed impacchi freddi. 

Il tempo di applicazione di questa metodica varia da 10’ a 15’. 

L’effetto principale si esplica sulla riduzione della permeabilità dei vasi nei confronti delle cellule immunitarie, tende ad avere un’azione antalgica, riduce l’infiammazione e diminuisce l’edema che ne consegue (Bailey, 2007). 

Inoltre, l’immersione in acqua fredda diminuisce, la velocità di conduzione dello stimolo nervoso, inducendo una minore percezione della fatica (Howatson et Van Someren, 2008) ed un abbassamento della FC (Bonde-Petersen et coll. 1992), questo grazie ad un’azione di vasocostrizione periferica che agevola il ritorno venoso. La stessa vasocostrizione, consentendo un maggior ritorno venoso, produce un miglior smaltimento del lattato (Crowe e coll. 2007) e della CK plasmatica (Vaile e coll. 2008). 

Occorre però tenere presente che l’immersione in acqua fredda aumenta la spesa energetica per il mantenimento della temperatura corporea, con aumento della ventilazione, del consumo di O2 e del metabolismo. Per ciò che riguarda l’impatto sulla performance della CWT, alcuni studi riporterebbero una minor riduzione della performance (Vaile e coll., 2008), quindi un effetto positivo sul recupero. Bisogna tuttavia ricordare che, l’immersione in acqua fredda, rallentando la velocità dello stimolo nervoso, riduce la capacità di performance e di generare forza di un muscolo, se tali capacità vengono testate subito dopo l’applicazione della metodica in questione.

  • L’immersione in acqua temperata

In letteratura, il range di temperatura all’interno del quale l’acqua è classificata come temperata è piuttosto ampio, compreso tra 16 e 35° C. Tuttavia, sarebbe più corretto che la classificazione di acqua temperata si riferisse solamente a temperature che permettano di mantenere costante la temperatura corporea per sessanta minuti (ossia temperature di circa 35° C). In ogni caso, siccome è altrettanto corretto tenere in considerazione anche la percentuale di grasso corporeo del soggetto in immersione, il range di temperatura entro il quale l’acqua può essere considerata temperata, è compreso tra 33 e 35° C. 

Pochi studi si sono focalizzati sulle modificazioni biochimiche nel corso d’immersione in acqua temperata: tra questi possiamo citare Simeckova e coll. (2000) che hanno dimostrato come durante un’immersione totale (sino a livello del collo) in acqua a temperatura di 20° C, l’attività della renina, dell’aldosterone e del  cortisolo risultino significativamente diminuite. Gli effetti dell’immersione in acqua temperata sulla performance sono relativamente scarsi. Secondo Rowsell e coll. (2009), l’immersione in acqua a temperatura di 34° C non apporterebbe nessun beneficio sulla prestazione di salto verticale e di sprint. 

  • Immersione in acqua calda

Differentemente dalla metodica precedente, consiste nell’applicazione di calore sotto forma di bagni caldi o impacchi caldi, saune, bagni di vapore e idromassaggio. 

L’immersione in acqua calda (HTW) consiste nell’immersione del soggetto, per un tempo compreso tra i 10 ed i 20 minuti, in acqua la cui temperatura sia superiore a 38° C (Wilcock e coll. 2006). 

L’immersione in tali condizioni provoca un aumento della temperatura dei tessuti superficiali inducendo vasodilatazione (Rutkove et coll. 2001). L’aumento del flusso sanguigno accentuerebbe la permeabilità delle cellule, dei capillari e dei vasi linfatici, aumentando così il metabolismo e consentendo un maggior apporto 

Cambio nella Performance in prove a cronometro al cicloergometro in 5 giorni consecutivi: CW(immersione in acqua fredda); HWI (immersione in acqua calda); CWT (idroterapia a contrasto); PAS (recupero passivo);

di nutrienti, un aumento dell’eliminazione dei metaboliti ed un accelerazione del processo di recupero(Coté e coll. 1988). 

Tuttavia l’immersione a temperature più elevate, comprese tra 45 e 50°, causa una denaturazione delle proteine, un aumento della risposta infiammatoria e dell’edema (Wilcock e coll. 2006). 

Fondamentalmente tale metodica ha un’azione sedativa. 

Se applicata per almeno 20’ svolge anche un’azione vasodilatativa, migliorando la circolazione e l’afflusso nutritivo alla muscolatura. 

Comunque la terapia calda rimane maggiormente indicata per favorire il rilassamento piuttosto che per altri azioni

Tuttavia bisogna anche considerare il fatto che, nell’immersione in acqua calda rispetto all’ immersione in acqua temperata, il flusso sanguigno diretto ai muscoli risulta minore, limitando di fatto il trasporto dei substrati metabolici (Bonde-Petersen  e coll. 1992). Anche se, la sola immersione degli arti inferiori della durata di 45 minuti in acqua a temperatura di 44°C si sia dimostrata in grado di eliminare la maggior parte dei markers della fatica muscolare (CK e LDH) (Skurvydas  et  coll., 2008). 

Comunque l’immersione in acqua calda non sembrerebbe correlata a nessun aumento della capacità contrattile muscolare (Skurvydas et coll. 2008).

L’alternanza d’immersione in acqua calda e fredda, rimane il metodo più valido, producendo un miglioramento delle reazioni vascolari e del recupero muscolare, comparata alla sola immersione in acqua calda o al riposo totale (Vaille et al., 2008). 

A tal proposito, Lane e Wenger hanno investigato l’effetto di alcune metodiche di recupero tra cui l’immersione in acqua fredda, recupero attivo e massaggio. I partecipanti allo studio completavano un protocollo di sprint seguito da 15’ di una delle tre metodiche di recupero (immersione in acqua fredda, recupero attivo, massaggio, o recupero passivo/controllo), e dopo 24h ripetevano il protocollo di sprint. Dallo studio è emerso che il recupero attivo, CWI e il massaggio erano metodiche di recupero che permettevano ai partecipanti di mantenere o incrementare la potenza espressa durante la seconda serie di sprint. Tra le tre metodiche indagate nello studio appena menzionato, quella che forniva risultati migliori è apparsa essere la CWI.

  • Elettroterapia

Secondo ricerche scientifiche in settore, il recupero mediante elettrostimolazione neuromuscolare è efficace, purché siano impiegate frequenze basse, ben definite ed in successione. La terapia di elettrostimolazione a bassa frequenza viene applicata principalmente a livello della muscolatura degli inferiori, ed in particolare dei muscoli del polpaccio. 

La contrazione dei muscoli del tricipite della Sura consente un maggior ritorno venoso, si crea un meccanismo di pompa muscolare, simile a quello ottenuto con l’immersione in acqua fredda/crioterapia o con l’utilizzo di indumenti compressivi. 

Nell’ambito del fenomeno del ritorno venoso, il tricipite della sura svolge un ruolo fondamentale, infatti è stato definito “il cuore periferico di Starling”, in quanto responsabile all’incirca dell’ 80% del ritorno venoso totale (Morton, 2007). 

Un maggior ritorno venoso si tramuta in un maggior smaltimento di metaboliti e nell’ ottenimento di un ritorno ai valori di forza massimale più rapido (Faghri e coll. 1998; Zuccarelli, 2005).

La frequenza degli impulsi è in genere compresa tra 0.6 e 0.8 Hz (ossia molto simile al ritmo cardiaco) e le sedute consigliate sono di circa 20 minuti, ossia equivalenti a 1500-1600  contrazioni muscolari.

  • Tecniche di auto-rilassamento

questa metodica di recupero rimane ad oggi molto snobbata e poco praticata, ma ricordiamoci che la nostra performance nasce dalla nostra mente, ed una mente rilassata è una mente capace di concentrarsi e di performare al meglio. 

Lo stato psicologico e mentale influenza naturalmente lo stato della nostra muscolatura, una mente rilassata sarà il sinonimo di una muscolatura più rilassata (Gauron, 1984), con tutti i benefici sul recupero che ne derivano. 

Il miglior momento per praticare questa metodica è la sera, in quanto ci consente una migliore qualità del sonno, un corpo più riposato e quindi più incline all’allenamento ed allo stress.

Bibliografia


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AUTORE: Dario Landro Freelance e Chinesiologo di Scienze Salute e Benessere

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