Come ben sappiamo strutturare un programma di allenamento efficace, che porti risultati sia a lungo che a breve termine, non è una cosa semplice, non basta mettere un 4×8 o un 5×5 senza criterio e fini a sé stessi. L’abilità dei programmi di forza e di condizionamento di stimolare gli adattamenti fisiologici necessari per migliorare la performance sono strettamente correlati alla modulazione degli stressor (fattori di stress) dell’allenamento per migliorare le risposte adattive riducendo il potenziale di overtraining e di infortuni.
Gli stressor nel nostro caso sono tutti quei parametri allenanti (volume, intensità, densità ecc.) che devono essere inseriti con logica per riuscire correttamente in questo compito (non ci sono solo tipi di stressor intrinseci, ma di questo ne parleremo più avanti).
Quindi parte centrale dell’allenamento sono la programmazione e la periodizzazione, il motivo per cui dobbiamo fare ciò è che il corpo necessità di una sollecitazione adeguata per migliorare. La periodizzazione è un costrutto teorico e pratico che consente la sistematica e sequenziale programmazione nel tempo per indurre adattamenti fisiologici specifici che consentono il raggiungimento dei risultati e l’incremento delle prestazioni.
Per capire questo però, dobbiamo prima capire come il nostro corpo reagisce agi stimoli, che siano allenanti o meno. Ci sono tre modelli teorici che ci aiutano in questo, e sono la General Adaptation Syndrome (GAS), la teoria della supercompensazione (Stimulus – fatigue – recovery – adaption) e la dual-fact theory (DFT; fitness – fatigue paradigme).
General Adaptation Syndrome
Nel 1956, Hans Selye, presentò i concetti base della GAS, secondo la quale ogni stimolo rivolto al corpo ruota intorno ai processi di Stress – Recupero – Adattamento (SRA), in pratica fornisce un modello per comprendere la relazione tra stress, adattamento e fatica.
Per capire meglio questo concetto lo dividiamo in tre fasi che chiameremo:
- Fase di allarme: ogni volta che il nostro corpo sperimenta un nuovo stimolo, uno stress di qualsiasi genere, produce una risposta che induce un accumulo di fatica, una riduzione delle riserve energetiche. In relazione alla grandezza dello stress questa fase può durare diverse ore, giorni o addirittura settimane.
- Fase di resistenza: successivamente il nostro corpo entra in una seconda fase nella quale si adatta allo stimolo e ritorna alle normali capacità funzionali. Se lo stress non era eccessivo questa fase di adattamento si traduce in un aumento delle capacità funzionali, quindi supercompensa.
- Fase esaustiva: se lo stress persiste per un lungo periodo di tempo ci si sposta verso una fase esaustiva nella quale si ha l’incapacità di adattarsi allo stress. Si può tornare ai livelli basi delle proprie capacità funzionali o, addirittura, livelli più bassi.
Se riusciamo a produrre il giusto adattamento il nostro corpo sarà a un livello di funzionalità maggiore al precedente, risulta logico che lo stress che dovremmo imporre al corpo dovrà essere, appunto, maggiore. Altrimenti se il nostro corpo continua a ricevere gli stessi stimoli finirà per non adattarsi più, la “accomodation law” afferma che la risposta di un oggetto biologico ad uno stimolo costante diminuisce nel tempo.
Seppur questa originariamente non era contestualizzata nell’allenamento fisico, successivamente divenne uno dei fondamentali concetti da cui sono poi nate teorie della periodizzazione.

La supercompensazione (Stimulus – fatigue – recovery – adaption theory)
Se ancora non abbiamo parlato di allenamento è perché stavamo aspettando questa teoria, che non è altro che l’applicazione della precedente al mondo dell’allenamento. Ci spiega come uno stimolo allenante possa produrre una risposta, più o meno buona, influenzata dalla quantità degli stressor. Più è grande la quantità degli stressor allenanti, più è grande la fatica e più tempo ci vorrà per recuperare, più tempo ci vorrà per recuperare e più tempo ci vorrà per l’adattamento.
Come abbiamo già detto, come l’atleta recupera e si adatta ha bisogno di un altro stimolo per continuare il suo processo di aumento della performance. Quindi, se viene sottoposto ad un nuovo stimolo, la sua performance continuerà ad aumentare.
Ma cosa succede se ci si allena quando non si ha ancora recuperato, o si fa aspettare troppo tra un allenamento e l’altro?

Il grafico “a” mostra un modello di supercompensazione positiva, nella quale l’atleta si allena durante il picco della supercompensazione producendo un incremento graduale della performance.
Il grafico “b” mostra il contrario del precedente. Quando non si recupera e ci si allena quando si ha ancora fatica, si avrà un decremento della performance.
Il grafico “c” mostra un modello di supercompensazione neutra, nella quale si aspetta troppo tra un allenamento e l’altro facendo così passare il picco della supercompensazione. Qua non si hanno nei ncrementi ne decrementi della performance. Questo concetto ci suggerisce che se uno stimolo non viene applicato con la giusta frequenza (conosciuta come densità), la linea della performance rimane neutra.
Alla base di questa teoria ci sta la deplezione di determinate sostanze biochimiche e l’idea che la performance dell’atleta dipenda da queste. Dopo un allenamento queste diminuiscono per poi aumentare fino a raggiungere un livello maggiore del precedente. Teoricamente si dovrebbe effettuare l’allenamento durante questo picco di supercompensazione.
Un problema di questa teoria, però, è proprio quello di non determinare come si fa a capire quando si raggiunge il picco della supercompensazione. Inoltre, molte sostanze biochimiche hanno tempi di recupero differenti tra loro, la rappresentazione di una curva non basterebbe.
Stessa cosa avviene se mettiamo sulla curva la fatica indotta dall’esercizio fisico. Mi alleno, la curva scende e non appena risale, quando sono riposato e ho supercompensato, mi rialleno e miglioro. Non funziona proprio così, se un giorno faccio trazioni, il giorno dopo alleno i dip, e il terzo giorno alleno gli stacchi, che ha molti muscoli in comune con gli esercizi precedenti, come influenza tutto ciò la mia curva? E se mettiamo in mezzo i vari stressor estrinseci che ci mette davanti una giornata normale? Magari poco sonno, il lavoro ecc.
Stress e adattamento sono visti come fattori unici, non c’è specificità. È impossibile semplificare tutto ciò con una curva, ma ci dovrebbero essere decine di curve che si intersecano tra loro, ognuna con i suoi tempi di recupero e con i suoi tempi di adattamento.
Questa teoria ci da giusto un’idea di ciò che succede, ma non spiega perché anche se ci alleniamo tutti i giorni otteniamo miglioramenti.
Dual – fact theory (DFT; fitness – fatigue paradigm)
Una teoria più completa rispetto a quella precedente è proprio la dual – fact theory. Fitness e fatica sono ora due curve separate, che si sommano per creare uno stato di preparazione (Preparedness). Quindi a seguito di uno stress allenante le due curve si muovono in maniera indipendente ma contemporanea.

A seguito di un allenamento abbiamo subito un miglioramento che però è mascherato dalla fatica, ipotizziamo quindi che l’effetto negativo della fatica sia maggiore dell’effetto positivo della componente fitness. Una cosa importante da ricordare è che la fatica si dissipa più velocemente della forma fisica, consentendo così di aumentare la preparazione se vengono utilizzate strategie di allenamento appropriate per mantenere la forma fisica riducendo l’affaticamento. Una volta dissipatala fatica, tramite lo scarico avremo il miglioramento.
Va notato che mentre il recupero è una parte importante del processo di allenamento, non è sempre necessario raggiungere uno stato di completo recupero prima di impegnarsi in un nuovo incontro o sessione di allenamento. La manipolazione dei carichi di lavoro e delle intensità di allenamento attraverso l’uso di sessioni leggere e pesanti può essere utilizzata per modulare la fatica e le risposte di recupero, consentendo al contempo di aumentare o mantenere la forma fisica.
Conclusioni
Una differenza sostanziale tra la dual – Fact theory e la supercompensazione è che quest’ultima presuppone che fitness e fatica condividano una relazione di causa ed effetto, mentre la DFT mostra una relazione inversa. Ciò, quindi, implica che le strategie che massimizzano la forma fisica e riducono al minimo la fatica avranno il maggior potenziale per ottimizzare la preparazione dell’atleta.
Un grande problema che la DFT ha risolto è il problema del timing. Con la supercompensazione si cerca il picco per potersi riallenare e riuscire a progredire, con la DFT no, sono componenti diverse, si deve “solo” far in modo di dissipare la fatica per far venire fuori i miglioramenti.
BIBLIOGRAFIA
– Haff G, Triplett NT, National Strength & Conditioning Association (U.S.), eds. Essentials of Strength Training and Conditioning. Fourth edition. Human Kinetics; 2016.
– Ferlito A, Biasci A, Evangelista A. Project Strength. Prima edizione. Project invictus;2017.
– Cunanan AJ, DeWeese BH, Wagle JP, et al. The general adaptation syndrome: a foundation for the concept of periodization. Sports Med. 2018;48(4):787-797.
– Turner, Anthony. “The science and practice of periodization: a brief review.” Strength & Conditioning Journal 33.1 (2011): 34-46.
AUTORE: ALBERTO DESSÌ Freelance e Chinesiologo di Scienze Salute e Benessere
